mercoledì 6 giugno 2007

Pastori con Dolcezza: l'autorità viene dalla vita vissuta


Ieri mattina ho avuto un'animata discussione su Skype.
La mia interlocutrice cercava di farmi capire che, pur avendo le migliori intenzioni, se non mi metto in stato d'ascolto e non faccio attenzione allo stato d'animo e al gradi di maturazione dell'altro, evitando l'atteggiamento di giudizio, la proposta di Gesù non trova accoglienza nel suo cuore.
Io ero preoccupato di non tradire il contenuto dell'annuncio: la Chiesa non è padrona del Vangelo,
ma serva. Non può togliere neppure uno "iota".
Lei voleva farmi capire l'importanza dell'attenzione al destinatario del messaggio.
Eravamo entrambi fermi ciascuno sull
a sua posizione. Poi, finalmente, ci siamo capiti. Se non ci si riesce, si sprofonda nell' incomunicabilità, si scavano dei solchi che, col tempo, diventano incolmabili. Chi ne paga le conseguenze, sono coloro che a causa di queste incomprensioni, si allontanano da Cristo.
Affidando alla Chiesa il suo
insegnamento ("Magistero") Gesù ci chiede di custodire la fede come egli ce l'ha trasmessa ("Tradizione") senza alterazioni. Ma il mondo cambia e la maniera di presentare la fede deve essere continuamente aggiornata per essere resa comprensibile agli uomini di oggi ("Inculturazione"). Il fascino del dialogo tra Chiesa e Mondo oggi sta proprio in questa tensione, che è fruuttuosa, perché permette ai discepoli di Gesù di continuare a lavare i piedi ai loro contemporanei.


Oggi ho riletto un brano di Gregorio Magno, un papa del VI secolo, del tempo delle invasioni dei Goti, che dice senza peli sulla lingua quale grande umanità si aspetta dai suoi pastori il Gregge di Cristo.

Non crudeli giudizi. Non violenza verbale. Non freddezza e indifferenza. Amore e tenerezza.
La Chiesa non finirà mai di crescere
nella maturazione di questi atteggiamenti, ma crescerà più in fretta se troverà interlocutori intelligenti e disponibili al dialogo, ai quali sta davvero a cuore il bene comune, e non il proprio interesse.
La differenza tra il Bel Pastore (Gv 10) e il mercenario è proprio questa. Il primo agisce mosso dall'amore. Questo invece è mosso solo dal vile interesse.

Leggi questo brano di Gregorio. Poi, se vuoi, posta un commento con le tue domande, riflessioni e esperienze. Ci sarà di grande utilità. Grazie.

d. Lucio


Dal «Commento al libro di Giobbe»
di san Gregorio Magno, papa

L'insegnamento delle persone arroganti ha questo di proprio, che esse non sanno esporre con umiltà quello che insegnano, e anche le cose giuste che conoscono, non riescono a comunicarle rettamente.
Quando insegnano danno l'impressione di ritenersi molto in alto e di guardare di là assai in basso verso gli ascoltatori, ai quali sembra vogliano far giungere non
tanto dei consigli, quanto dei comandi imperiosi.
Ben a ragione, dunque, il Signore dice a costoro per bocca del profeta: «Li avete guidati con crudeltà e violenza» (Ez 34, 4).
Comandano con durezza e violenza coloro che si danno premura non di correggere i loro sudditi, ragionando serenamente, ma di piegarli con imposizioni e ordini perentori.

Invece la vera scienza fugge di proposito con tanta più sollecitudine il vizio dell'orgoglio, quanto più energicamente perseguita con le frecciate delle sue parole lo stesso maestro della superbia. La vera scienza si guarda dal rendere omaggio con l'alterigia della vita a colui che vuole scacciare con i sacri discorsi dal cuore degli ascoltatori.

Al contrario, con le parole e con la vita si sforza d'inculcare l'umiltà, che è la maestra e la madre di tutte le virtù, e la predica ai discepoli della verità più con l'esempio che con le parole.
Perciò Paolo, rivolgendosi ai Tessalonicesi, quasi dimenticando la grandezza della sua dignità di apostolo, dice: «Ci siamo fatti bambini in mezzo a voi» (1 Ts 2, 7 Volgata).

Così l'apostolo Pietro raccomanda: «Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» e ammonisce che nell'insegnare vanno osservate certe regole, e soggiunge: «Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, e con una retta coscienza» (1 Pt 3, 15-16).
Quando poi Paolo dice al suo discepolo: «Questo devi insegnare, raccomandare e rimproverare con tutta autorità» (Tt 2, 15), non chiede un atteggiamento autoritario, ma piuttosto l'autorità della vita vissuta.

Si insegna infatti con autorità, quando prima si fa e poi si dice.

Si sottrae credibilità all'insegnamento, quando la coscienza impaccia la lingua. Perciò è assai raccomandabile la santità della vita che accredita veramente chi parla molto più dell'elevatezza del discorso.
Anche del Signore è scritto: «Egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi» (Mt 7, 29). Egli solo parlò con vera autorità in modo tanto singolare ed eminente, perché non commise mai, per debolezza, nessuna azione malvagia. Ebbe dalla potenza della divinità ciò che diede a noi attraverso l'innocenza della sua umanità.

(Commento a Giobbe, Lib. 23, 23-24; PL 76, 265-266)




1 commento:

Anonimo ha detto...

IN ASTINENZA DA FEDE

Il mondo dei giovani è molto vario, molto colorato, popolato da presenze non facilmente semplificabili in uno schema, anche se con alcune caratteristiche generali. Per esempio, la giovinezza è un periodo della vita che tende ad allungarsi. L’inchiesta Iard la colloca tra i 15 e i 34 anni. Diventano giovani presto e non se ne vanno più, o meglio, non li lasciamo diventare adulti prima. Hanno una domanda religiosa che da più di vent’anni è pressoché costante se non in crescita.

Assistiamo a una sorta di contraddizione: gli adulti hanno meno domande religiose dei giovani e forse frequentano di più la comunità cristiana, i giovani hanno più domande religiose e frequentano di meno, perché forse non si sentono interpretati nella loro ricerca. Noi abbiamo avuto le risposte senza farci le domande, loro hanno domande e non trovano riposte.

La grande U. Se vogliamo analizzare i dati più in dettaglio, troviamo che dai 15 ai 17 anni i giovani hanno una domanda di Dio che si attesta sul 76%, è la prima gamba della U; a 30-34 anni la domanda di Dio e l’esigenza di spiritualità ritorna pressoché agli stessi livelli, al 72%, la seconda gamba della U; il periodo più difficile, più frastornato, più problematico è dai 18 anni ai 20, periodo in cui la domanda religiosa, l’esigenza di spiritualità, il riconoscersi in un cammino di ricerca della fede è ai livelli del 61%, è il punto più basso della U. Con la differenza che, mentre nell’adolescenza sembra che la Chiesa possa ancora rispondere alle loro domande, al loro ritorno a esigenze di spiritualità la Chiesa non riesce più a interpretare questo loro bisogno di Dio, che si esprime con la caratteristica della precarietà e della estrema personalizzazione dei modi di affrontarlo.

La domanda immediata che ci facciamo è: come segue la comunità cristiana questa evoluzione del mondo giovanile? Le nostre parrocchie, i nostri movimenti, i nostri gruppi perché non riescono a intercettare questo bisogno di Dio se non in minima parte? Abbiamo la sensazione di essere su due piani che non si incontrano mai, quasi che i giovani abbiano domande e desideri che per natura loro sono assolutamente diversi da quelli della Chiesa; hanno le stesse domande, ma non si incrociano, sono su due piani diversi, si vedono avvicinare, senza possibilità di contatto.

Un altro dato che vale la pena di mettere in evidenza è il calo di partecipazione dei giovani all’associazionismo in genere e a quello cattolico pure. Sono i giovani che vogliono ridurre le loro relazioni a un virtuale scambio di sms, chat ed e-mail, che si aggregano volentieri solo al pub o nei centri commerciali, oppure offriamo loro aggregazioni incapaci di interpretarli e aiutarli a dare uno sbocco alle loro attese?

Ritorna sempre attuale ciò che diceva Vittorino Andreoli (psichiatra - n.d.r.): i giovani sono in crisi di astinenza da fede, occorre che torniamo a spacciare la fede. Lo spaccio non lo si fa nei luoghi istituzionali. Se i giovani possono incontrare la fede solo nelle chiese, perché sono l’unica offerta che li può raggiungere e non nei loro percorsi quotidiani, non confessionali, non strutturati rischiano di non trovare mai le risposte.

Diceva molto bene un documento dei vescovi italiani di qualche anno fa: I giovani chiedono di superare i confini abituali dell’azione pastorale, per esplorare i luoghi, anche i più impensati, dove i giovani vivono, si ritrovano, danno espressione alla propria originalità, dicono le loro attese e formulano i loro sogni.

Domenico Sigalini

da Nuovo Progetto aprile 06